Tra un’estate e un’arancia

di Renato Pareti

30 anni fa c’era Barry White a Sanremo. Lo ricordo bene perché quell’anno vinsi il festival come compositore con la canzone Bella da morire, cantata dagli Homo Sapiens.Già in quell’occasione era evidente che c’era in atto un grande cambiamento per la musica.La nostra melodia, quasi sempre appoggiata su ritmi lenti e romantici subiva delle vere e proprie docce scozzesi dal nuovo modo di essere gestita. Ricordo che Barry portò con sé solo gli elementi della ritmica e affidò il resto all’orchestra della Rai, la quale faticò non poco a seguire il maestro.L’America ci stava imponendo i suoi ritmi e non era che l’inizio.Tra un’estate e un’arancia i sintetizzatori, le batterie elettroniche, i registratori casalinghi multipiste si sostituirono al materiale umano e nel giro di poco tempo tutto doveva “picchiare”.Prese il sopravvento il sound e nacquero i deejay. Questi ultimi dimostrarono quanto fosse facile fare musica con una trovatella ripetuta all’infinito, adattata ad un campione preso da chissà quale libreria e le canzoni cambiarono completamente fisionomia. Assistemmo tutti ad un decennio di scorrerie tra i vari cataloghi musicali, ai taglia e cuci dei campionatori, alla musica fatta in casa. Noi autori ci adeguammo alle nuove tecnologie, e se da una parte fu un arricchimento, dall’altra nacque, in seguito, una confusione di ruoli che ci portiamo ancora oggi appresso. Se prima il nostro compito principale era quello di scrivere delle belle canzoni, adesso occorreva fare molto di più: comporle, arrangiarle, produrle, essere fonici, programmatori al computer, gestire le pubbliche relazioni con le case discografiche, che nel frattempo si assottigliavano per numero e venivano inglobate dalla multinazionale di turno e con quei pochi editori rimasti i quali non avevano più nessuna voglia di coltivare un parco autori, bensì preferivano sempre più comprare situazioni già consolidate… Tra un’estate e un’arancia era cambiato tutto. In meglio o in peggio?A giudicare dalle lamentele di tutti i settori della musica, in peggio, direi. Il tema di questa riunione è: I diritti della musica, insieme per difenderli.
Mi faccio tre domande: la musica ha dei diritti? E se li ha cosa si deve fare per difenderli?
C’è la volontà d’invertire la tendenza? Sì, perché a volte ho la sensazione che ci si lamenti di come stiano andando le cose, ma che tutto sommato vada bene così. Ma così non va meglio. Tutti dobbiamo aver voglia di salvare la nostra musica e i suoi diritti. L’autore, l’esecutore, l’amministratore della multinazionale, i media, i cosiddetti addetti ai lavori, tutti si devono rispetto e tutti devono rispettare la musica. Tutti siamo dentro alla sua emozione.

Faccio alcune riflessioni:
innanzi tutto, uno stato dove il sistema politico ha da sempre considerato la composizione come bene voluttuario di consumo e non come espressione culturale del proprio paese, non allineandola mai come tassazione al libro, per esempio, già contribuisce a denigrarla.
In secondo luogo, le strutture che dovrebbero confezionare la musica italiana come la difendono?
Dall’avvento delle radio private hanno permesso che queste ultime la regalassero letteralmente a chi prima la comperava o ai pirati. E poi, cosa ancora più grave, si sono sottomesse alla presunta cultura globale dei deejay i quali, bravissimi per la musica da discoteca, una volta lasciati liberi di fare, hanno uniformato, standardizzato suoni, arrangiamenti, stesure, stili, facendo morire qualsiasi tentativo di rimessa in uso della canzone. Per troppi anni molti network hanno disdegnato la musica italiana, trasmettendola solo in occasione dei festival e soltanto perché faceva “odience”, ma quasi vergognandosene.
D’altronde le stesse strutture, ormai quasi tutte multinazionali hanno continuato ad investire sempre di meno sulla musica italiana. Se non ci fossero stati i vari festival di Sanremo più o meno riusciti, quali spazi avrebbe avuto la nostra composizione in tempi storici in cui tutto muta tra un’estate e un’arancia?
Tra un’estate e un’arancia sono arrivati il digitale, le fibre ottiche, Internet e tutto ricambia di nuovo.
Sembrerebbe quasi che ogni mutamento sia a favore della musica gratuita, senza diritti di sorta. Qualcuno si è addirittura convinto che debba essere così! Pazzesco! E’ come dire ad uno stilista: tu mi crei un vestito, mi scegli un paia di scarpe e tutti gli accessori e io li uso ma non ti devo niente! Provate a farlo!!!
Come possiamo difendere insieme la nostra musica?
Tra un’estate e un’arancia siamo sottoposti a crisi di adattamento all’evolozione o all’involuzione.
Per fortuna negli ultimi anni ho assistito a qualche episodio davvero gustoso per un autore veterano come me.
Celentano vende improvvisamente 3 milioni di copie. Come è potuto accadere se il suo precedente tentativo aveva pressoché fallito? Perché sono ricomparsi gli autori, quelli bravi, quelli che sanno scrivere le canzoni. Gianna Nannini, data per pensionata, quest’anno fa un successo pazzesco arrivando in cima alla hit parade, entrando negli spot della pubblicità etc. Cos’è successo? Canzoni! Ancora canzoni da cantare, non riff da discoteca che durano un mese sì e no. Intendiamoci, non ce l’ho né con i deejay (lo sono stato anch’io per tanti anni), né con la musica da discoteca, una parte della quale mi piace anche moltissimo. Ce l’ho col fatto che ognuno deve avere il suo spazio e che i totalitarismi o gli appiattimenti generalizzati fanno morire la musica.
Ora si ritorna ad andare in studio di registrazione a chiamare l’orchestra, ci si vanta di avere fatto un album live, un “unplugged” e Laura Pausini va in Hit parade con “Io canto” ed Elisa ci delizia le orecchie con “Gli ostacoli del cuore”. Che bello! Ma sono ancora solo gocce nel mare della musica.
Dunque, la soluzione qual è? Ce n’è più di una a mio avviso

1. Picchiamo molto più forte dei deejay su chi ruba la musica in rete o fuori dalla rete. Gli autori vivono economicamente con i proventi che gli derivano dalla diffusione e dalla vendita delle loro opere frutto dell’ingegno. Nessuno di essi deve essere costretto a regalare né a campione (una tantum) né ad esecuzione singola e se lo fa dev’essere una sua decisione.

2. Facciamo di tutto perché la musica legale costi un po’ di meno e sia alla portata di tutte le tasche.

3. Limitiamo le esondazioni straniere con robusti argini italiani. Dobbiamo mobilitarci tutti per questo, e in fretta! Che ci sia un confronto alla pari e non una sottomissione. Le strutture devono invertire la tendenza e far pesare anche in sede politica i propri sforzi per conservare un’identità sacrosanta che è quella delle nostre radici, della nostra cultura. Noi non siamo nati né a New Jork, né a Nashville; siamo di Roma o di Abbiategrasso e dobbiamo esserne fieri.

4. Creiamo una cultura dell’autore e del compositore, rispettiamoli quando usiamo le loro opere e ringraziamoli almeno citandoli durante le esecuzioni televisive. Possibile che ci siano titoli di testa e di coda per registi, aiuto registi, elettricisti, meccanici, sarti costumisti, stilisti, fotografi, calzaturifici e tutta la bella compagnia e non ci siano titoli per chi ha scritto le canzoni con le quali un intero spettacolo musicale viene realizzato e mandato in onda?

5. Investiamo sulla musica italiana che spesso è bella e arriva anche a vendere 3 milioni di copie solo in Italia. Coltiviamo le nicchie per fare affiorare le sfumature della creatività. Paolo Conte, Gaber, Lauzi e molti altri meno famosi di loro ci hanno migliorato l’esistenza.

6. Sarebbe un’idea investire in radio nazionali nuove di zecca che gestiscano il repertorio vecchio e nuovo delle strutture in modo equanime e per il sol fine di fare gli interessi d’informazione totale della musica e non delle radio in sé. Sarà poi il pubblico a scegliere e a scartare.

7. E infine ridiamo agli autori, quelli nuovi e quelli che hanno dimostrato sul campo di avere costruito qualcosa nella storia della musica italiana più spazio per esprimersi. Ascoltiamoli sempre, fidiamoci di loro, perché potrebbero avere sul loro cd canzoni come “L’emozione non ha voce” .
Perdersi milioni di copie vendute, perché si è costretti a stare sempre in riunione, mettendo come esaminatore dei brani un manager appena laureato in economia che conosce sì e no 6 canzoni, non è per niente costruttivo.

Tra un’estate e un’arancia forse potrebbe migliorare ancora tutto e finalmente i diritti della musica potrebbero stemperare un po’ di quel magone onnipresente.