BSA: la Legge “ex-Cirielli” sarebbe un’ancora per i pirati

Riportiamo il testo di un comunicato stampa diffuso da BSA in merito agli effetto dell’approvando disegno di legge in precedenza individuato come “legge Cirielli”

“Se il Parlamento italiano dovesse approvare la Proposta di Legge cosiddetta ‘ex-Cirielli’, le conseguenze sarebbero paradossali: infatti, mentre il Governo ha preso decise posizioni in favore della tutela della proprietà intellettuale e della repressione della pirateria multimediale, con provvedimenti come il ‘decreto competitività’, d’altro canto ci troveremmo di fronte alla cancellazione per decorrenza dei termini di almeno l’80% dei procedimenti penali attualmente in corso per reati di copia illegale, contraffazione etc.”.
Così Francesca Giudice, Presidente BSA Italia, manifesta la preoccupazione dell’associazione di categoria dei produttori di software commerciale in merito alla Proposta di Legge n. 2055/A (c.d. Legge “ex-Cirielli”), in materia di “attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi”.
In termini pratici, la Proposta di Legge abbrevia i termini di prescrizione per le vertenze penali in materia di violazione della proprietà intellettuale (punite con pene fra i 3 e i 4 anni di reclusione), dagli attuali 7 e mezzo a 6 anni. Dato che la durata media di un processo penale in Italia, dal primo grado fino alla sentenza di Cassazione, può variare dai 6 ai 9 anni, ne deriverebbe un’impunità di fatto per coloro che sono stati coinvolti in procedimenti per distribuzione di software contraffatti o comunque non originali, ovvero per utilizzo a scopo commerciale o imprenditoriale di programmi per computer in violazione dei relativi contratti di licenza.
Ora, essendo ormai il tasso di software illegale nel nostro Paese pari a un imbarazzante 50% (rispetto al 36% della media europea) – continua Francesca Giudice – è evidente che l’adozione di un simile provvedimento andrebbe non solo a vanificare l’enorme lavoro investigativo e giudiziario connesso con i procedimenti in corso, ma rappresenterebbe anche un implicito incentivo alla violazione delle norme in materia di proprietà intellettuale, determinando così un drammatico indebolimento della tutela penale di questo importante fondamento della moderna società civile ed economica.
Il che si tradurrebbe in un gravissimo danno per la competitività (e quindi le opportunità occupazionali) delle imprese italiane operanti nel settore informatico, già sottoposte ad una congiuntura sfavorevole, in una pesante perdita di gettito per l’erario, nonché una violazione di obblighi assunti dall’Italia in sede comunitaria e internazionale”.
Infatti, dagli accordi Trips del WTO (che nel 1994 hanno stabilito obblighi di tutela minima per i Paesi aderenti) fino alla “Watch List” del Ministero Americano per il Commercio (in cui l’Italia figura fra i Paesi da monitorare attentamente per l’elevato livello d’illegalità sulla proprietà intellettuale), è evidente che presentarsi in qualsiasi contesto economico internazionale con una “patente” di scarsa affidabilità può solo tradursi in pesanti conseguenze per la nostra bilancia commerciale e la nostra capacità di attrarre investimenti stranieri.
“In un momento storico che vede il nostro paese sotto pressione per via della sempre crescente minaccia al Made in Italy”, conclude Giudice “le associazioni di categoria auspicano che il legislatore operi con coerenza, senza abbassare il livello di protezione che il quadro normativo prevede per le opere dell’ingegno ed evitando così enormi danni per l’ecosistema di aziende e lavoratori che ruotano intorno ai titolari dei diritti.”